Descrizione
Concepita dai Medici nella primavera del 1554, ai confini delle Marche su una delle cime più inaccessibili dell'Appennino, la città-fortezza del Sasso Simone fu espressione dell'ambiziosa politica dei granduchi di Toscana. Ma l'ardito progetto fallì presto: sconfitti dai disagi e dalle terribili condizioni climatiche gli abitanti fuggirono dopo appena dieci anni.
Una città fortezza a quote mai osate prima, a strapiombo sulla sottostante foresta, forse ad imitazione della non lontana San Leo, ma molto più ardita, ad oltre 1200 metri d'altezza, una vera sfida agli elementi, una roccaforte naturale inespugnabile per le sue pareti verticali su tutti i lati, al punto che il sentiero per arrivare in cima dev'essere ricavato con mazza e scalpello dalla roccia viva, ed è tuttora l'unico modo per arrivare sulla sommità del monte (…vi si sale per una strada fatta a forza di scarpello, del resto da ogni parte è inaccessibile e tutto a perpendicolo come un ben fabbricato muro...).
Architettura all'avanguardia, forme geometriche perfette, linee spezzate e grande dovizia di angoli acuti nelle cinte murarie, lotti edificabili modulari, piazze centrali aperte sui principali edifici pubblici. Questo l'ambizioso progetto del giovane Cosimo de' Medici. Si legge dalle cronache dell'epoca:
"Il Sasso è luogo della massima importanza perché è elevatissimo e inespugnabile, e perché sta sui confini del piviere di Sestino, del duca d'Urbino, dei conti Giovanni e Ugo di Carpegna, del conte Carlo di Piagnano, della Chiesa e di Rimini e perché chi vi edificasse un castello, come un leone fortissimo potrebbe annientare tutti gli altri castelli e luoghi circostanti senza timore di attacchi. In caso di timor di guerra è possibile specialmente di notte far segnali a Montauto di Perugia, al monte di Assisi, a Recanati, a Sassoferrato e a molte altre terre della Chiesa: in una notte si arriva di rocca in rocca a trasmettere il segnale fino a Roma e di lassù è anche possibile vedere molti luoghi della Dalmazia".
Il 14 luglio 1566 si avvia l'immane opera: si iniziano a gettare le fondamenta delle case per accogliere i previsti 300 abitanti, le osterie, le casematte, il forno, le carceri, le grandi cisterne per l'acqua (quella principale, incredibilmente, è ancora lì piena d'acqua), la bottega del fabbro, i granai per mille staia di grano, il salnitraio e le salaie, il deposito delle farine, il palazzo del provveditore, l'armeria, l'arsenale, il tribunale, le stalle. Inoltre la chiesa, il palazzo del capitano con la cancelleria, gli edifici per l'acquartieramento dei soldati, la sala delle torture, le torri, le mura perimetrali, i depositi per le munizioni, i ricoveri per l'artiglieria, i magazzini per i viveri. Per un intero decennio questo luogo isolato e silenzioso risuonò dei rumori e delle voci delle centinaia di operai, scalpellini, architetti, muratori, carpentieri, falegnami, boscaioli, fabbri, del cigolio dei carri e delle carrucole, del muggire dei buoi.
Si fabbricano in loco mattoni e tegole, si squadrano le pietre, si scava la roccia, si forgiano cardini e serrature, si fabbricano gli armamenti. I lavori non si fermano neanche con l'inverno: una carovana di uomini, carri e buoi, carichi di pesantissimi pezzi d'artiglieria, arriva appositamente da Arezzo. Spossati dal viaggio, dalla fatica e dal freddo, i buoi che trainano i carri giungono stremati in cima al monte, ma scivolano sulla ripida salita gelata. Nessuno riesce a fermarli: travolgono la retrostante spedizione e precipitano tutti nel vuoto in un'orrenda carneficina. L'utopistico progetto nasceva obsoleto già in partenza. Drammaticamente costoso rispetto all'effettiva utilità, quando ormai le guerre si combattevano e risolvevano in campo aperto per il mutare di tattiche e armamenti, l'esito positivo di tale ambiziosa costruzione avrebbe dovuto suscitare qualche dubbio, ma si andò avanti ugualmente.
Il primo gruppo formato da una decina di soldati fu mandato a presidiare la fortezza nel dicembre 1573. E già allora ci si accorse delle difficoltà: "Ci sono poche provviste e la legna bisogna estrarla di sotto la neve alta. Fa freddo. Siamo male equipaggiati e non ci è da dormire. Il vento caccia la neve persino nei letti".
Nell'estate del 1574 le case abitate erano ancora pochissime e gli occupanti vi risiedevano malvolentieri. Il vescovo di Famagosta, in visita estiva al Sasso, annota che "…sarà molto difficile che qualcuno potrà risiedervi d'inverno". Nel successivo inverno si dovette allestire una cappella all'interno del palazzo del capitano, poiché "…non si poteva andare alla chiesa ordinaria per via dei tempi cattivi": distava appena settanta metri.
Quella che fu in seguito definita "La piccola glaciazione", un inasprimento del clima che porterà ad un abbassamento generale della temperatura su tutto il pianeta, era appena agli inizi. Le estati si accorceranno. Gli inverni diverranno più lunghi e rigidi. Sarà la causa della totale distruzione dei raccolti, di un disastro che metterà in ginocchio la montagna per secoli. Sarà la fame più disperata e la conseguente perdita di un terzo della popolazione. Qui non si parlava di benessere: era in gioco la sopravvivenza stessa. Spazzato da venti e bufere, attanagliato dal gelo, insidiato dalla natura selvaggia del luogo, stretto d'assedio da branchi di lupi famelici e da non meno feroci gruppi di banditi spietati, il sogno mediceo si era trasformato in un incubo. Ancora per poco qualche audace resistette nella città: dieci anni dopo la sua costruzione, l'ardita fortezza era ormai totalmente abbandonata. Le strutture andarono incontro ad un rapido deterioramento e nel 1674 la città era già totalmente diroccata, tanto che ne fu decretato lo smantellamento per il recupero dei pochi materiali utilizzabili. Alcuni di questi li possiamo tutt'ora vedere nei vecchi cascinali del circondario e sulle facciate di qualche antica costruzione.
Del poco rimasto, la natura avrebbe presto fatto giustizia: il vento, il freddo, le tempeste, il ghiaccio e la vegetazione cancelleranno rapidamente il sogno del giovane principe fiorentino. Poche tracce nascoste in un ambiente aspro e selvaggio: ecco ciò che rimane, oggi, di quella assurda scommessa.
Bibliografia: Girolamo Allegretti - LA CITTA' DEL SASSO